In Gara

Anita al buio

Priscilla Pagliaricci

regia Lucia Bellotti

anno 2023

attori Priscilla Muscat

scheda artistica

L'opera è divisa in dieci scene e ognuna di esse viene annunciata direttamente dall’attrice che entra ed esce dal ruolo portando il pubblico in luoghi e periodi diversi. I salti temporali sono molti e abbracciano il periodo della vita della protagonista che va dai 16 ai 27 anni. Il racconto dell’opera è strutturata in forma monologica rivolta al pubblico e spesso alternata a momenti dialogici con i vari componenti della storia. Anita, grazie agli incontri e alle esperienze che la portano a ripensare ai perché della sua condizione insoddisfacente, passa in modo repentino da uno stile ironico e a volte assurdo, a momenti comici che si alternano ai più critici e dolorosi, dando giustizia al bisogno di incontrarsi con la propria verità. Il monologo ha la durata di quasi un’ ora e c'è una interazione costante fra quella che è la drammaturgia dell’opera e ciò che riguarda la messa in scena. Nella nostra creazione ci sono diverse premesse; in primo luogo, il desiderio di riflettere sulla società dal punto di vista di una giovane donna bianca, benestante, in un periodo di piena rivoluzione patriarcale, crisi pandemica e d’identità; in secondo luogo, raccontare un processo ontologico dove è necessario riconoscere la responsabilità delle proprie decisioni affinché si possano iniziare a generare nuove realtà desiderate; in terzo luogo, aprire una riflessione sull’esigenza della società di dividerci in categorie togliendo continuamente il senso della libertà di scelta. Anita al buio incarna una generazione disposta a fare domande che fanno connettere con se stessi e gli altri, creando così una rottura con i vecchi modelli. Anita si mette in contatto con le ombre e con i tabù ancora vigenti della società italiana. È basate su questa struttura che sono sorte delle domande come diversi punti di ricerca possibile.
Anita si trova in una crisi d´identità, c'è un parallelismo rispetto alle crisi continue che attraversa il teatro rispetto alla sua identità e il suo utilizzo? Come possiamo raccontare la ricerca del nostro personaggio mentre noi stesse ci chiediamo quali sono le possibilità esistenti nel momento in cui costruiamo un soggetto scenico che intende rispecchiare la realtà come la percepiamo noi?
Possiamo lavorare sul realismo, sul naturalismo, sull'assurdo, la performance, la danza, il cinema, la politica, la storia collettiva e l'intimità, in uno stesso monologo?
Possiamo parlare di genere, sesso, capitalismo, pandemia, dolore, amore e arte senza perdere la capacità di approfondire piuttosto che rimanere sulla superficie delle cose?
Qual’è il limite del corpo per raccontare?
Vogliamo un'esperienza pregna, ma anche leggera. Vogliamo raccontare le caratteristiche simboliche dell’umanità tramite frammenti della vita di una personaggio per cui nascono nuove domande, infinite, e il nostro monologo si presta come punto di partenza dove cominciare a strutturare, dove far diventare la filosofia azione, e l'azione teatro.

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