Nardinocchi/Matcovich
Finalista In-Box 2021
di e con Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich
Scena Fiammetta Mandich
Sound design Dario Costa
Light design Marco Guarrera
Illustrazioni Margherita Nardinocchi
Assistenza e cura Anna Ida Cortese
Con il sostegno di: Florian Metateatro, Associazione Scenario, Teatro Due Mondi, ACS - Abruzzo Circuito Spettacolo, Teatro di Roma, Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello – Capotrave / Kilowatt Sansepolcro), Carrozzerie N.O.T.
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Lo spettacolo
“Arturo non è mio padre / Arturo non è neanche mio padre
Arturo non è un padre
Arturo ha un’isola / Arturo è un’isola
L’isola di Arturo
L’isola di Arturo è un racconto / Il racconto di un figlio
Un figlio che vede il padre guerriero, capitano, eroe
Per poi scoprirlo uomo / Nient’altro che uomo
L’isola di Arturo è Procida
A Procida c’è una ripida salita / In cima alla salita c’è un carcere dismesso
Davanti al carcere c’è un belvedere / Di notte dal belvedere si osservano le stelle
Arturo è una delle stelle più luminose del cielo / Arturo è la prima stella che si vede al tramonto
Le stelle nascono, vivono, muoiono / Proprio come i padri
Morendo lasciano dei residui / Proprio come i padri
Il nostro residuo è la memoria
Il progetto nasce dall’incontro di due registi/autori che condividono lo stesso dolore: la perdita dei propri padri. Da qui l’esigenza di stare in scena senza la mediazione degli attori, lavorando su due differenti piani: quello dei padri che si raccontano in prima persona e quello in cui emerge il punto di vista dei figli.
I due piani si invertono, si intersecano, si mischiano e a volte quasi si confondono.
Sul palco si costruisce un puzzle della memoria, composto di dodici pezzi – corrispondenti ad altrettante scene – che esplorano il tema utilizzando forme e linguaggi differenti, includendo anche momenti di interazione con gli spettatori e altri senza una drammaturgia definita.
I titoli dei pezzi del puzzle sono scritti dagli spettatori all’inzio dello spettacolo, per poi essere mischiati e disposti nello spazio in maniera casuale.
Ciò permette al lavoro di avere una struttura mutevole, non replicabile e dalle “infinite” combinazioni, proprio come l’andamento della memoria; altresì consente allo spettacolo di trasformare le autobiografie dei due attori da memorie private a atto collettivo, aperto, universale, in quanto il segno grafico lasciato dagli spettatori si fa parte integrante e imprescindibile della scena.
L’intento è di trattare la morte, spesso vista come un tabù, con la voglia non di compatirsi o cercare conforto, bensì trasformando il dolore in atto creativo.